Descrizione
L’haiku – come scrive Maurizio Senardi nella sua magistrale postfazione – è un «breve soffio di poesia il cui spirito è, nell’ispirazione originaria, quello di cogliere l’evanescenza dei fenomeni, in special modo naturali». Del tutto evidente è quindi «il tradimento» che i 99 haiku metropolitani di Claudio Grisancich perpetrano nei confronti del modello orientale poiché qui il poeta disegna nei suoi haiku un segmento di percorso esistenziale: «C’è la solitudine dell’uomo e il desiderio dell’incontro, un nuovo amore che si affaccia, goduto anche nel riflesso sugli episodi della vita minuta, la delusione per la promessa di felicità mancata, l’amarezza infine, che si manifesta in un gioco di maschere o di alter-ego abilmente variati, dove si affaccia il tema malinconico dell’età che avanza, dell’ozio forzato, del fastidio per una società che schiaccia i deboli […] per impennarsi quindi, con sorniona ironia, in un suggestivo attraversamento del senso della vita: che potrebbe anche parerci poca cosa, per il paradosso che la regge […] e le vane speranze metafisiche a ricordarci quanto invece valga […] l’unico nostro bene […] Insomma, gesti forti di vita vissuta: proprio quella “drammaticità” che l’haiku orientale rigetta».
Ma c’è un altro fenomeno – aggiunge Senardi – che con spinta sotterranea orienta la morfologia di questi haiku del maggiore poeta triestino dei nostri giorni. «L’emergere, come un fantasma prepotente dentro la scorza del giapponesismo, dell’impronta di una tradizione letteraria ben più congeniale alla nostra civiltà poetica, quella epigrammatica. La cui natura, perfettamente sintonica alle caratteristiche etico-spirituali dell’uomo occidentale, è legata, sull’orizzonte di un soggettivismo spiccato, ad una rivendicazione, spesso rabbiosa e antagonistica nei confronti del mondo, della forza e dell’autonomia dell’io poetante». E’ questo infatti ciò che sancisce la sconfitta definitiva del modello giapponese e quindi «la vittoria dell’Io mercuriale e reattivo di un Occidente che ha inventato l’individualismo (sia pure ormai oltre le soglie dell’alienazione), il progresso (magari anche “scorsoio”, come vuole Zanzotto) e la democrazia (ancorché populista e teleguidata, nel paese della contro-rivoluzione permanente). Tutto ciò, insomma, che, nel bene e nel male, costituisce la nostra identità».